Dall’albero alla fabbrica, tutto quello che devi sapere sul viaggio del tuo cioccolatino preferito
In lockdown è stato uno dei generi di conforto a cui la maggior parte delle persone ha fatto ricorso per tirarsi su il morale, anche se non ha un bel rapporto con dietologi e centri fitness, il cioccolato nelle nostre case non manca mai e sono circa 110 mila, le tonnellate di fave di cacao che ogni anno sbarcano sulle banchine dei nostri porti, dirette nelle industrie dolciarie italiane.
Per la maggior parte–circa il 90%-di provenienza dal West Africa, più precisamente dal Ghana e dalla Costa D’Avorio, con una piccola percentuale di origine nigeriana ed ecuadoriana, le pigne di cacao vengono raccolte nelle fazendas di proprietà delle industrie dolciarie o dei traders oppure originano dai consorzi locali, dove convergono i raccolti dei lavoratori autoctoni. I frutti delle piante di cacao, simili a cocchi allunganti, vengono portati in spiaggia e “spignati”; i semi, ovvero le fave, che contengono l’essenza del cacao, rimangono alcuni giorni in essicazione prima di essere messi dentro a grandi sacchi di iuta di circa 60 chili l’uno pronti per il loro viaggio oltre mare.
Da oltre 25 anni la modalità di trasporto di questa commodity non ha mai subito nessun cambiamento sostanziale, la iuta, permettendo una traspirazione costante, serve a proteggere le fave da uno dei suoi nemici più grandi: l’umidità. Avendo una consistenza lignea, la fava di cacao rischia di marcire in fretta ed è anche per questo che i container in cui i sacchi viaggiano attraverso il Mediterraneo vengono allestiti con “fardaggi”. Detta in maniera semplice, si tratta di cartoni che fasciano i sacchi, soprattutto quelli a contatto con le porte e le pareti dove si crea la maggior parte della condensa, anche dovuta all’escursione termica tra le temperature delle zone di carico e quelle delle zone di sbarco.
Negli anni, sono stati molti i suggerimenti proposti dalle compagnie di navigazione per limitare i problemi di umidità nel trasporto, ma le lobby della iuta, come quella del cacao, hanno sempre sostenuto la tradizione a discapito dell’innovazione.
L’importazione delle fave viene gestita principalmente da trader da cui le industrie dolciarie acquistano lotti di partite. I circa 4500 contenitori destinati al mercato italiano sbarcano tra dicembre e maggio, ciascuno con circa 25 tonnellate di carico resa franco magazzino e godono di franchigie elevate, giustificate dal fatto che, non essendo merce pallettizzata, i sacchi vengono scaricati a mano e che i contenitori vengono sottoposti a processi di fumigazione per combattere il secondo grande nemico del cacao: gli insetti. Introdurre una sola partita di merce infestata in magazzini di oltre 25 mila metri quadri sarebbe un vero disastro; per questo i controlli qualità, anche da parte delle industrie dolciarie a magazzino, sono molto scrupolosi.
Dai porti di sbarco, Genova in testa, seguita dalla Spezia e da Vado Ligure, la merce si sposta via camion, corredata di documenti di transito doganale, verso i magazzini intermedi. La rottura del carico è giustificata dal fatto che, prima di proseguire il viaggio verso le cioccolaterie d’Italia, le fave vengono pulite in appositi macchinari simili a tramogge che tolgono tutte le impurità presenti nei sacchi di iuta: pietre, foglie, spago, elementi ferrosi. Poi, a seconda delle esigenze di ogni ricevitore, la merce viene messa in big bags da una tonnellata, pallettizzata o trasportata fino alla fabbrica in cisterne, pronta per essere trasformata nel vostro cioccolatino preferito.